Cosa hanno in comune un’orchestra che a Bologna ha stravolto gli stereotipi sulla musica classica, un centro culturale nel cuore di Salerno, un festival culturale che da vent’anni attira quasi 20mila appassionati a Sarzana e uno spazio per residenze artistiche nell’entroterra calabrese? Sono storie e percorsi diversi, che condividono la capacità di rimettere in moto il senso di comunità e il tessuto sociale delle città.
“Comunità in pratica” è una delle azioni che Acri ha avviato in vista del XXVI Congresso nazionale, che si terrà a Gorizia il 12 e il 13 giugno 2025. L’iniziativa mira a raccogliere alcune esperienze comunitarie in diversi settori, attraverso tavoli tematici nel corso dei quali verrà approfondito il senso del termine “comunità”, che rischia di essere svuotato dai molteplici utilizzi odierni. Proprio con questo obiettivo, l’iniziativa si articola in cinque incontri a porte chiuse, su alcune declinazioni della comunità: Educare, Cultura, Abitare, Innovazione, Cura.
Il primo incontro di “Comunità in pratica” si è incentrato sul rapporto tra la comunità e la cultura. Hanno interagito e raccontato la loro storia diverse realtà nate intorno alla cultura, che hanno puntato sulla partecipazione culturale per promuovere e far crescere la comunità.
Ludovica La Rocca racconta l’esperienza di Blam, un’associazione che a Salerno ha avviato processi di rigenerazione urbana a base culturale con la comunità del territorio. Uno spazio e un punto di comunità che, partito come un esperimento, si è definito come processo di collaborazione e coprogettazione con cittadini e cittadine per delineare la governance, la gestione, le attività da avviare e per costituire una comunità di intenti, con uno specifico manifesto valoriale. Un aspetto critico che La Rocca fa emergere è il rischio di “esclusività” di questo spazio di comunità, perché animato e frequentato principalmente da persone in condizione socio-culturale ed economica medio-alta. L’obiettivo è dunque superare queste barriere e riuscire a diventare un luogo in cui tutti riescano ad accedere, facendo incontrare le diverse anime della comunità, “riportando i margini al centro”. Non nasconde La Rocca la consapevolezza del rischio del fallimento che, tuttavia, non svilisce l’importanza del processo che rende attive, significanti e partecipative le vite delle persone che ne fanno parte. Blam, infine, afferma La Rocca, “ha dimostrato che la cultura è uno strumento di cura, che agisce da collante per condivide idee, energie e per attivarsi, infondendo fiducia e dando nuove possibilità di pensare e costruire il futuro dei singoli e dell’intera comunità”.
All’incontro ha partecipato anche Matteo Bagnasco, responsabile dell’Obiettivo Cultura della Fondazione Compagnia di San Paolo. Parte dall’idea che la comunità non è solo un insieme di persone, o più in generale la collettività, ma è una rete di persone che ha dei legami e che interagisce in una specifica dimensione territoriale. La cultura può essere uno strumento molto importante per stimolare, animare e prendersi cura di questo tipo di legame. Le comunità, inoltre, vivono in territori specifici e anche in questo la cultura può avere una funzione importante perché, avendo una sua dimensione locale e territoriale, può diventare strumento di identità del territorio e quindi anche nutrire la vita della comunità che lo abitano. Per questo le Fondazioni sostengono molto il settore culturale e, contemporaneamente, danno vita a comunità di pratiche con le realtà del territorio. Una modalità partecipativa che, secondo Bagnasco, deve necessariamente accogliere anche la dimensione del conflitto, non in un’ottica negativa, ma come linfa del lavoro di rete, accettando anche la potenziale messa in discussione delle idee, gli obiettivi e le modalità considerate al principio dalla Fondazione. Infine, le comunità di pratiche dovrebbe muoversi più su prospettive temporali di lungo periodo e non solo sul qui e ora, avendo la capacità di realizzare iniziative capaci di trasformarsi ed essere efficaci nel tempo.
Rita Elvira Adamo ci porta invece a Belmonte Calabro, in provincia di Cosenza, dove ha preso vita La Rivoluzione delle Seppie, un gruppo di studenti, professionisti e accademici internazionali di architettura che da circa 7 anni lavora nei “vuoti dei territori” cosiddetti marginali, attraverso la riattivazione culturale. Il gruppo si trasforma continuamente per il ricambio di studenti e accademici provenienti da tutto il mondo, e coinvolge nel proprio percorso di formazione informale la comunità di Belmonte proponendo eventi e workshop per avviare la riattivazione di spazi pubblici ed edifici. Il cuore delle attività è il continuo interscambio tra la comunità degli studenti internazionali e quella del territorio, rimettendo al centro le relazioni e gli spazi in cui esse si costruiscono, per dare una nuova linfa e identità al paese, dando contemporaneamente continuità a un’esperienza di formazione non formale nel campo dell’architettura. La Rivoluzione delle seppie ha dato dunque vita ad una nuova comunità, che si alimenta tramite la comunità per abitare un luogo temporaneamente ma in maniera costante. Un esperimento che non a caso ha scelto di chiamarsi La Rivoluzione delle Seppie, rifacendosi al testo del filosofo e scienziato Vilém Flusser, che descrive la cosiddetta seppia-vampir come una cieca abitante degli abissi che esplora attraverso il tatto. Allo stesso modo questa esperienza dimostra che ci sono altre modalità di formazione oltre a quelli tradizionalmente accademici e anche un altro modo di “fare e abitare le comunità”, per esperienza, scambio e tentativi condivisi.
Il dialogo è proseguito con Benedetta Marietti, direttrice del Festival della Mente, un festival di approfondimento culturale che si svolge ogni anno a Sarzana, giunto alla 21esima edizione. Marietti afferma che i festival, per loro natura, creano comunità: la comunità di tutti i partecipanti che per tre giorni affollano le piazze, i teatri e le vie della città. Una comunità fisica, dunque, accomunata dal desiderio di conoscenza e dell’emozione condivisa che questa genera, contribuendo dunque alla crescita collettiva in termini di necessità di approfondimento e di confronto, di dibattito pubblico, riflessioni critiche e capacità di empatia. Contemporaneamente, la comunità di Sarzana, che si attiva tutta, dalla Fondazione Carispezia e il Comune di Sarzana, che promuovono il festival, ai trecento giovani volontari delle scuole fino ai ristoratori e gli albergatori: tutti lavorano in maniera sinergica per la buona riuscita della manifestazione. Infine, la community online che continua ad usufruire dei contenuti del festival e che è straordinariamente numerosa. Benedetta Marietti immagina nel futuro una comunità sempre fisica del Festival della Mente, ma che possa incontrarsi in altri momenti dell’anno e non solo nei tradizionali tre giorni del festival, per raggiungere ancora più persone e consolidare momenti e opportunità di conoscenza, confronto e approfondimento.
Infine, quello di Tommaso Ussardi, presidente di Associazione Senza Spine, è il racconto di un’orchestra sinfonica nata nel 2013 a Bologna per volontà di un gruppo di musicisti appena usciti dal conservatorio con il sogno di trovare una propria funzione sociale e di rimettere al centro la musica classica. “Senza Spine” si riferisce all’intento di sfidare gli stereotipi, le “spine” e rivoluzionare la percezione comune della musica classica come una musica “vecchia”, inaccessibile, per persone agiate. Danno così vita al Mercato Sonato, un teatro urbano, un circolo Arci, uno spazio vivo dalla mattina fino al cuore della notte con la scuola di musica, il coro, numerosi eventi e concerti e una serie di attività comunitarie e di partecipazione pubblica che coinvolgono attivamente gli spettatori nel processo di costruzione dell’offerta musicale. Dalla musica classica è nata dunque una vasta comunità che non esaurisce il suo intento di superare le barriere sociali, culturali, architettoniche e sensoriali. Ussardi manifesta anche la difficoltà di portare avanti le attività a causa dell’incessante necessità di intercettare nuove fonti di finanziamento. Esprime infatti il desiderio di veder riconosciuto il percorso già intrapreso dalle istituzioni pubbliche e private e da tutto il Terzo settore, partendo dunque da quello che si è già ottenuto. Questo, per Ussardi è necessario a diffondere un senso di fiducia e di possibilità per proseguire a lavorare serenamente e in maniera continuativa con e per la comunità.