Combattiamo le comunità del rancore – Carlo Borgomeo
Il termine “comunità” è ormai abusato nella sua interpretazione positiva. Quando parliamo di comunità, infatti, pensiamo immediatamente a un’idea di collaborazione, solidarietà e condivisione e ci lamentiamo sempre più spesso della sua mancanza. Parliamo di carenza di relazioni sociali e di dimensione comunitaria in una società che, anziché favorire l’interazionale sociale, premia i percorsi individuali e dove la competizione e l’affermazione del singolo sembrano essere i valori prevalenti. Affermiamo, inoltre, che i social media, la televisione e l’afflusso incontrollato di stimoli e informazioni contribuiscano a disgregare le relazioni sociali, e a svuotarle di significato. Non solo, dobbiamo tornare a considerare la comunità in un’accezione positiva, ma anche come un valore, che deve essere alimentato con impegno concreto.
Vale la pena ripartire dall’etimologia. “Communitas” deriva dal latino “cum” “munus” che letteralmente significa “con il dono”. L’essenza della comunità risiede nel dono. Costruirla significa dare, mettere in gioco le proprie energie, le proprie idee e le proprie risorse per un progetto comune. Senza questo presupposto, la comunità, come spesso accade, rischia di diventare una dimensione nella quale le persone non fanno che difendere la propria identità piuttosto che contribuire a un percorso condiviso.
Esistono molteplici esempi di comunità che non perseguono obiettivi comuni ma condividono specifici interessi rinforzando l’identità di ciascun membro senza tuttavia promuovere forme di condivisione. Un esempio evidente è il “comunitarismo” negli Stati Uniti, che rischia di trasformarsi in un fenomeno corporativo in cui prevale il senso di appartenenza e di chiusura.
Qual è dunque la comunità a cui guardiamo? Non dobbiamo guardare alla comunità come uno spazio in cui stiamo insieme, rafforziamo la nostra identità, ci parliamo addosso e ci complimentiamo tra di noi. Come si possono declinare in maniera concreta i valori intrinsechi al concetto di comunità? Tre a mio avviso devono essere le caratteristiche per costruire una comunità positiva. La prima caratteristica è un approccio solidaristico. La seconda è la creazione di relazioni orizzontali e non verticali, che rischiano di cadere nella logica della corporazione e della difesa degli interessi. Infine, la comunità deve essere, per sua natura, aperta, anche se questo significa aumentare la complessità delle relazioni al suo interno.
Per costruire una comunità con queste caratteristiche è necessario, come afferma Aldo Bonomi, favorire il sincretismo tra la comunità di cura con la comunità operosa. Per comunità di cura si intende il Terzo settore, il non profit, che si fa carico delle disuguaglianze e dei diritti negati. La comunità operosa, invece, è quella degli artigiani, delle imprese e di tutto il mondo profit. La loro alleanza è fondamentale per evitare che si espandano ancora di più le comunità del rancore, cioè quelle che alimentano odio, paura, sospetto, chiusura, che oggi hanno una presenza importante nella nostra società e trovano purtroppo forte rappresentanza nelle forze politiche.
In quest’ottica, la mia esperienza in Fondazione Con il Sud mi ha dimostrato che credere e investire sulla dimensione comunitaria determina migliori condizioni di vita per tutti e per lo sviluppo complessivo della comunità. Le Fondazioni di origine bancaria hanno un ruolo fondamentale in questo processo, perché sostengono il Terzo settore, che è il vero motore della cultura del dono ed è il soggetto che ha un ruolo decisivo nel promuovere capitale sociale.
In questa riflessione vale la pena di richiamare l’esperienza delle Fondazioni di comunità promosse, seppure con modalità diverse, da Fondazione Cariplo, Fondazione Compagnia di San Paolo e Fondazione Con il Sud.